Si scrivono lettere a prigionieri,
corrispondenze con condannati a morte.
Si scrive a gente che ha fatto cose
sbagliate, si scrive di quelle cose
sbagliate.
Si può dialogare con persone che non
condividono le tue idee, che non sono
come sei, e che rappresentano tutto ciò
che odi al mondo.
Per questo io scrivo questa lettera ad
un Bastardo/A
Non un bastardo in particolare. Uno
qualsiasi. Uno dei tanti che girano per
le strade, travestiti da persone
normali, o perlomeno da individui
accettabili seppur nelle loro diversità.
Se ne incontrano di persone così nella
vita, persone che sembrano all’apparenza
come me, te. Persone che sembrano
capirti, amarti, tenderti una mano. Ma
alla fine vogliono solo quello. Poi la
recita finisce. E il lupo si scrolla di
dosso tutta quella lana che lo faceva
sembrare pecora e che gli dava pure fastidio.
Un bastardo lo riconosci nel momento in
cui si rivela. Ma non comprendi subito a
cosa stai andando incontro. Il bastardo
è la persona che al suo interno non ha
nemmeno una molecola di giusto o di
buono. Un bastardo non piange, non ama.
Non ne ha assolutamente bisogno. Vuole
solo fagocitare tutto quello che di
commestibile esiste nell’animo umano,
giusto per soddisfare la sua voglia. In
fondo è un gioco per lui, una sfida. La
fame insaziabile che lo guida gli
annebbia gli occhi e non gli fa vedere
nient’altro che le cose di cui si può
cibare. Del resto non gli importa nulla.
Non ha interessi al di fuori di quello.
Sì, ha comunque una personalità, ma è
semplicemente una massa informe di creta
molliccia da modellare a proprio
piacimento per ottenere sempre di più.
Un bastardo è proprio questo, un ammasso
molliccio di veleno maligno, che si
appiccica, fagocita e sporca. Un cancro
vivente che cerca sostentamento negli
organismi altrui, quelli sani, normali.
E poi, una volta contento, li abbandona
con le loro cicatrici che bruciano ogni giorno.
Bastardo, ti parlerò solo adesso e mai
più, in quanto già quello che ti sto
concedendo vale un grande sforzo. E’
un’occasione, l’unica che mi sento di
concederti. Perchè con te non esistono
“ma” o “però”. E non esiste nemmeno il
cambierò, perchè sia tu che io sappiamo
che rimarrai sempre lo schifo che sei.
Perchè non hai valori, credo, non hai
nulla. Hai solo la fame, e questo fa di
te un animale. Perciò ti parlo come
potrebbe fare un uomo al suo cane, è il
massimo che tu possa meritarti.
Ti auguro di morire di fame Bastardo.
Vorrei che un giorno o l’altro più
nessun debole possa cadere sotto i tuoi
morsi. Così da far perdere ogni senso
alla tua vita, che non ha alcun
obiettivo. Spero vivamente che questo
possa accadere, anche se so essere un
desiderio difficile da esaudire. A te
che non hai rispetto auguro di non
averne più da alcuno, proprio come io
non ne ho adesso per te. Come si può
rispettare una malattia? Perchè tu solo
questo puoi essere. Sei il male che
annienta ogni speranza, che sostituisce
l’istinto di sopravvivenza con il
dolore. E sfinisci chi ti ospita, come
un parassita. Succhia il sangue, succhia
ciò che tu non hai e mai potrai avere.
Un giorno tutto questo finirà. E non
sarai più nulla. Nessuno si ricorderà di
te. Solo un nome scritto da qualche
parte, dietro una foto, in un registro.
Ma poi basta. Tutto ciò che rimarrà di
te sarà il dolore ma la tua persona e
la sua memoria ti saranno per sempre
negati. E se esiste un inferno spero che
il posto te l’abbiano già prenotato.
Ma fino a quel giorno, in cui varrai
esattamente quanto vali adesso, ti
vorrei chiedere un favore. Lascia stare
le persone sane. Quelle che credono nel
futuro, che hanno dei valori e che hanno
un animo privo di tutti i vizi che
trasporti tu. Smettila di far loro del
male, perchè nessuno, tantomeno tu,
dovrebbe essere capace di negare a loro
i miracoli che sono. Tu, che non
dovresti essere nemmeno degno di poter
parlare ad un’altra persona, non puoi
permetterti di fare questo, schifoso animale.
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Serve che gli uomini vengano educati al rispetto ed alla gestione delle proprie emozioni, violenza ed aggressività...
è un impotente un uomo che non sa controllarsi e tenersi in consapevolezza e meditazione.
Marianna Vasile