Recensione libro "Alla fine resta l'amore" di Claudia Mehler

21.06.2013 10:53

L'AMORE COME ANTIDOTO CONTRO IL DOLORE DI UN'INFANZIA SPEZZATA DALL'ORCO

di Andrea Curreli
(Tiscali.Spettacoliecultura.it) 

Pedofilia. Una parola che nessuno vuole sentir pronunciare. Un termine talmente odioso che se diventa oggetto di cronaca viene quasi sempre esorcizzato con il classico "speriamo che non accada mai ai miei figli". Capita invece che un giorno qualsiasi di una normalissima vita fatta di lavoro e affetti familiari, una mamma come Claudia Mehler (nome di fantasia) vada a prendere la sua bambina di sette anni a scuola senza preavviso e scopra che nonostante le sue mille precauzioni l’orco è proprio lì al fianco della sua creatura. E’ il bidello che regala a sua figlia dieci caramelle e le concede l’ "onore" di suonare la campanella. Ha una quarantina d’anni e per raggiungere il suo scopo non utilizza solo dolciumi e piccoli favori, ma anche minacce di morte. La piccola racconta gradualmente i particolari atroci di quella “grande amicizia” con Vito il bidello che la consola quando è triste e che la porta a casa durante l’orario delle lezioni. Nessuno se ne è accorto, qualcuno ha vigilato poco. Claudia è costretta ad ascolta quei particolari che non vorrebbe sentire e il disorientamento prende il sopravvento. In quel momento si materializza “un incubo che inghiotte la sala ai nostri piedi e ci separa da come eravamo prima”, scrive ricordando lo stato d'animo di allora.

Riordinate le idee, inizia una battaglia lunga e straziante contro il bidello orco cercando di tutelare al massimo una creatura così fragile. Quando si arriva all’incidente probatorio e alla perizia però i ruoli sono completamente ribaltati: sotto esame si trovano la bambina e i suoi genitori. La piccola S è sotto pressione e ovviamente si chiude a riccio. Il perito del tribunale utilizza la linea dura cercando di provocare una reazione arrivando poi ad accusare la bambina di essere una bugiarda. I genitori diventano “inattendibili” perché ansiosi. Nella seduta decisiva il registratore non registra. Tutto da rifare anche se davanti c’è una bambina. Claudia non si arrende e presenta una controperizia, ma visto l’impatto negativo che la vicenda sta avendo sulla figlia decide di non farla testimoniare nuovamente. Il processo a questo punto non può iniziare. Cambiato ambiente, Claudia decide di raccontare la sua assurda vicenda umana e giudiziaria nel libro Alla fine resta l’amore (Mondadori , Strade Blu 2013). I nomi, le voci, i riferimenti temporali e i luoghi sono ininfluenti, in fondo è una storia come tante, ma non per lei. “La realtà è che con gli abusi sessuali sui bambini nessuno vuole avere a che fare” scrive amaramente Claudia. La nota lieta, forse l'unica in questa vicenda, è che la piccola S ha ritrovato quella serenità della quale era stata privata. Claudia ha accettato di rispondere alle domande di Tiscali Notizie.

Claudia, perché ha sentito l’esigenza di mettere nero su bianco un’esperienza così traumatica?
"Mi è sembrata una testimonianza doverosa in un paese in cui la negazione di questi fenomeni è purtroppo diffusa, nonostante i dati ci dicano invece che si tratta di episodi in aumento. Un paese in cui non è prevista alcuna deroga rispetto alle procedure ordinarie quando a essere coinvolto in un processo è un bambino, e la tutela della sua 'salute psichica' non viene minimamente presa in considerazione. Un paese in definitiva in cui gli unici 'puniti' sono le 'vittime'. Neruda ha scritto che la speranza genera due bellissimi figli: lo sdegno e il coraggio. Ecco, è stata la speranza a spingermi".

La vicenda è conclusa e la bambina ha ritrovato la serenità. Qual è ora il suo stato d’animo?
"Mia figlia ora sta bene. E’ cresciuta, sono passati diversi anni. Credo abbia inquadrato correttamente ciò che è accaduto, abbiamo fatto il possibile per fornirle gli strumenti che l’aiutassero a superare la paura e la rabbia. Certo, non escludo che quando sarà adulta possa aver bisogno di 'tornare' su quest’episodio. Con dolore probabilmente, ma anche supportata dalla riflessione e l’analisi".

A eccezione delle molestie subite, qual è la cosa che l’ha maggiormente ferita? 
"L’isolamento che ne è conseguito. L’arretramento di molte delle persone che avevamo intorno. Quel 'trincerarsi' pavido dietro il paravento della 'indeterminatezza' dell’accaduto. Tanto è un bambino che parla, e si sa che i bambini inventano, scherzano, mentono… Quella dinamica inconsapevole di chi, pur di scaricarsi la coscienza e attenuare l’angoscia, non sa fare di meglio che 'incolpare' la vittima, o i genitori che hanno voluto 'fraintendere'".

Lei denuncia la tendenza a non credere alle vittime di violenze sessuali. In Italia c’è ancora un problema culturale?
"In Italia se è sempre presunta l’innocenza dell’indagato, non lo è mai la credibilità della vittima di un reato sessuale. E questo è un problema profondamente culturale, che riguarda tutti, dagli insegnanti, ai vicini di casa, dagli amici, ai semplici conoscenti. Solo le persone che hanno una preparazione e una competenza specifica in materia di reati sessuali, come gli agenti delle sezioni specializzate, o alcuni consulenti, non ne soffrono, perché appunto conoscono a fondo l’argomento. Ma purtroppo sono pochi".

Ha più rivisto l’uomo che molestava sua figlia? 
"Sì, capita. E non è mai piacevole".

25 febbraio 2013

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